Il Kime, nella pratica delle arti marziali Giapponesi, può essere definito come la contrazione massima di tutto il corpo[1], ovvero una contrazione isometrica di ogni singolo distretto muscolare. Quando si esegue una tecnica e si adopera il kime, tutto il corpo si contrae al massimo in modo da riuscire a sfoderare molta potenza, sia per tecniche d'attacco, sia per parate, sia per assorbire colpi che non si sono riusciti a parare. Il kime è sempre accompagnato dalla respirazione ibuki e spesso sfocia in un Kiai.
Kime (決め) è il nome del verbo giapponese Kimeru (決める) che vuol dire Decidere. A sua volta, questo verbo proviene dal Giapponese Antico Kimu (決む) che vuol dire proprio essere decisi, concludere qualcosa, essere risoluti.
Nelle arti marziali e nel Karate, questo concetto viene canalizzato sulla concentrazione che ci vuole per portare in modo forte e preciso qualsiasi tecnica. In modo Deciso, insomma.
S’intuisce come non può esistere Kime senza consapevolezza della tecnica che stiamo portando. Emerge non a caso l’unione tra la mente e il corpo necessaria per percorrere la Via della Mano Vuota (Eh si, se non lo sapessi Karate-do vuol dire proprio questo! Se ti ho incuriosito e vuoi sapere di più sulla storia del Karate, abbiamo scritto tutto qui!).
Molti praticanti di arti marziali concepiscono il kiai come una forma di “grido” che in certi passaggi particolari “deve essere espresso” vedi il kiai del kata oppure del kumite sportivo(shiai).
Pochi, invece, sanno che la definizione di kiai si traduce con “cogliere nel ventre” l’energia “ki”, che muove e si trova in tutto l’universo.
Quindi kiai anche come incontrare l’energia universale e concentrarla nel nostro Tanden per farla divenire “KIME”.
Il kime e il kiai sono strettamente legati perché il concetto Kime si enuncia come “decisione estrema”: convogliare il massimo e sommo sforzo alla più perfetta tecnica(Waza), per cui chi esegue una tecnica con il giusto kime non può esimersi da un’altrettanto potente e forte kiai.
Nel l’uomo esiste una sorta di barriera psicofisica che non permette, se non in casi eccezionali, di superare una determinata capacità di forza, tuttavia sappiamo che in casi particolari questa barriera può essere oltrepassata, lo studio del kime rappresenta la possibilità di rompere lo sbarramento e accedere ad una energia superiore che in condizioni normali è impedita all’ essere umano.
Senza Kiai e Kimé, il karate non è una tecnica di combattimento ma solo una danza.
Dopo aver preso familiarità con le prime tecniche di Karate, e magari memorizzato qualche Kihon, è il turno di incontrare il concetto di Kime.
Kime cosa significa?
Kime (決め) è il nome del verbo giapponese Kimeru (決める) che vuol dire Decidere. A sua volta, questo verbo proviene dal Giapponese Antico Kimu (決む) che vuol dire proprio essere decisi, concludere qualcosa, essere risoluti.
Nelle arti marziali e nel Karate, questo concetto viene canalizzato sulla concentrazione che ci vuole per portare in modo forte e preciso qualsiasi tecnica. In modo Deciso, insomma.
S’intuisce come non può esistere Kime senza consapevolezza della tecnica che stiamo portando. Emerge non a caso l’unione tra la mente e il corpo necessaria per percorrere la Via della Mano Vuota (Eh si, se non lo sapessi Karate-do vuol dire proprio questo! Se ti ho incuriosito e vuoi sapere di più sulla storia del Karate, abbiamo scritto tutto qui!).
Come si applica il Kime alle mosse di un Kata o di un Kihon?
Con la capacità di contrarre e rilassare i muscoli al momento giusto.
La breve contrazione deve arrivare nell’esatto momento finale della tecnica (posizioni, attacchi, parate… non fa differenza). Devi essere rilassato e fluido nell’eseguire il movimento, salvo poi contrarre all’ultimo momento e trasformare l’acqua in roccia. Sfrutterai così al massimo velocità e potenza.
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