TUTTO INIZIA DAL PRIMO APPROCCIO IN PALESTRA TRA ALLIEVO E MAESTRO
E DA LI INIZIA UN CAMMINO INTENSO E FORMATIVO.
Il karateka si approccia al dojo attraverso una scelta vocazionale e vi resta quando il contatto con il proprio modo di essere in relazione con se stessi e col gruppo diventa privo di filtri ed esente da giudizi, quando riesce ad accettare i propri limiti, li accoglie e non li nega. Il candidato alla formazione di karateka ha il cuore ricco dell’impalpabile speranza di provare una sensazione di equilibrio in se stesso e con il proprio modo di relazionarsi, con e senza l’altro.
“Quando la porta del dojo si apre e avviene l’incontro tra il maestro e allievo, inizia una storia complessa in cui gli esiti, come in ogni incontro e/o scontro, non sono del tutto prevedibili.”
L'ALLIEVO Imparerà con i dovuti tempi tante abilità, movimenti, espressioni, e riuscirà a gestire sensazioni e stati d'animo che l'arte Marziale pone ogni giorno ad ogni Atleta. Inizierà a capire e ad aspirare al traguardo che tutti vogliono " LA CINTURA NERA".
“Sentirsi” 1° dan è avere la cintura nera nella mente e la cintura bianca nello spirito.
“Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte volte a partorirsi da Sé”.
Gli studenti moderni di karate mostrano il loro grado di esperienza grazie a un sistema gerarchico basato sui differenti colori delle cinture, chiamate obi. Man mano che gli studenti avanzano di livello, abbandonano la cintura precedente per una con un colore diverso per manifestare i propri progressi.
Ogni incontro fondante della vita, capace di trasformare il proprio modo di osservare e/o vedere e di sentire/si, offre un tessuto di aspettative profonde, in parte consapevoli e realistiche, come l’obiettivo “di quel colore nero”, in parte emotive, attraverso la ridefinizione del proprio modo di “stare” nelle cose e di sentire il proprio corpo in connessione con la mente, come un processo di ricollocazione del sentire con il corpo e pensare con la mente (secondo cervello).
La cintura nera simbolo di graduazione, ultimo step delle cinture colorate rappresenta la maturità psico-fisica che il praticante acquisisce con dedizione e sacrificio in un luogo fisico, nel quale orari e lezioni scandiscono il movimento del motore corporeo, fino a diventare un orologio interno con ritmi e cadenze, sincronizzate da un meccanismo in cui il karateka attiva il corpo annullando i pensieri, fino a ridefinire se stesso nella piena consapevolezza della sua alterità (se stesso con qualcosa in più).
La cintura, sia essa di cotone o di seta, lucente o sbiadita, nuova o invecchiata, indica il sacrificio, la dedizione e la passione: visibile agli occhi, ruvida al tatto, posizionata con un gesto rituale sul bacino, diventa parte integrante di un nuovo modo di essere e di sentire.
Con il raggiungimento del 1° Dan, se avvenuto nei tempi congrui e con la giusta maturità, si verifica una sorta di decentramento dell’osservazione (dall’esterno all’interno di se stessi) che combina e mette in crisi sia l’assetto fisiologico (intriso di un bagaglio ricco di tecniche raccolto fino a quel momento) sia mentale, imponendo a se stessi la perseveranza per continuare a seguire la Via, responsabilità che diventa quasi esclusivamente personale e non più “affidata” principalmente al maestro e alle sue capacità sia tecniche sia relazionali.
È quando il karateka inizia a sentirsi 1°dan che le cose si fanno più complicate ma anche più belle, i limiti e le risorse diventano nuovamente terreni da esplorare, reali e ideali, in cui le emozioni con le loro sfumature colorano il nero di pigmenti sottrattivi dei colori di cintura che l’hanno preceduta: sentirsi 1° Dan, in buona sostanza, è avere la cintura nera nella mente e la cintura bianca nello spirito. Si innesca, dunque, una dicotomia difficile da gestire, a cui si unisce la responsabilità di sostenere il “peso” di quel colore: ma in che modo il praticante riesce a unire gli angoli di questo “triangolo” e sentirsi in grado di perseverare nella Via? (Punto di vista derivante dall’approccio della psicoterapia sistemico relazionale).
La perseveranza nel seguire la Via, dunque, risiede nella maturità costruita nel tempo sotto la guida attenta e onesta del maestro, che mostra la Via e lascia che l’allievo segua la propria senza abbandonarlo.
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